I processi trotskisti

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diavoletto nero
CAT_IMG Posted on 16/11/2013, 18:22




I processi trotskisti



Tratto da "Mosca 1937" di Lion Feuchtwanger

[...]D'ALTRA parte, Stalin si decise infine di portare ancora una volta in tribunale questi suoi nemici, i trotzkisti, accusandoli di alto tradimento, spionaggio, sabotaggio ed altre attività disfattiste, come pure della preparazione di atti terroristici. In processi che sollevarono il mondo contro la Unione Sovietica per la loro "primitività ed arbitrarietà", i nemici trotzkisti di Stalin furono umiliati fino all'impossibile. Vennero condannati e fucilati.

È puerile attribuire questi processi, quello di Zinoviev e quello di Radek, semplicemente alla sete di dominio e di vendetta di Stalin. Giuseppe Stalin, che ha compiuto un enorme lavoro contro la resistenza di tutto il mondo, quale la ricostruzione economica dell'Unione Sovietica, il marxista Stalin non pregiudica la politica estera del suo Paese, ed insieme ad essa una parte importante del suo lavoro, per motivi personali.

Conosco il processo contro Zinoviev e Kamenev dai rapporti della stampa e dai racconti di testimoni oculari; ho assistito personalmente al processo contro Pjatalcov e Radek. Ho quindi partecipato, nell'atmosfera dell'Europa occidentale, al primo processo, ed in quella di Mosca, al secondo.

La differenza fra l'Unione Sovietica ed Occidente diventa comprensibile quando si assiste ad uno dei processi nell'aria europea ed all'altro nell'aria moscovita. Parecchi miei amici, persone nient'affatto stupide, trovano questi processi, dal principio alla fine, per contenuto e forma, tragicomici, barbarici, in mala fede e mostruosi. Tutta una serie di uomini che prima erano amici della Unione Sovietica sono diventati suoi nemici in seguito a questi processi. Alcuni, che nell'ordinamento della società dell'Unione avevano visto l'ideale dell'umanesimo socialista, erano come annichiliti; le pallottole che avevano colpito Zinoviev e Kamenev non avevano ucciso soltanto questi, ma anche tutto il nuovo mondo. Anche a me, fin che rimasi nell'Europa occidentale, le accuse del processo di Zinoviev mi sembrarono fondamentalmente estorte con mezzi misteriosi, tutto il procedimento mi parve una commedia messa in scena con arte consumata, strana ed orrenda.

Quando a Mosca assistetti al secondo processo, quando vidi ed udii Pjatakov, Radek ed i suoi amici, l'impressione di quanto questi accusati dissero ed il modo con cui lo dissero fece sciogliere questi miei sospetti come la neve al sole. Se quello che dissero è falso o predisposto, allora non so più che cosa è la verità. Presi quindi i verbali del processo, meditai su quanto avevo visto e sentito, e considerai, ancora una volta, il pro e il contro della veridicità dell'accusa.

In fondo, i processi si rivolgevano in primo luogo contro il grande accusato assente, Trotzki, e l'obbiezione principale consisteva nella presunta falsità di quanto affermava l'accusa a Trotzki. "Questo Trotzki" si indispettirono gli oppositori, " uno dei fondatori dello Stato sovietico, amico di Lenin, avrebbe dato egli stesso direttive per sabotare la ricostruzione dello Stato alla cui fondazione egli ha contribuito, per scatenare la guerra contro di esso, per prepararne la sconfitta nella prossima guerra?

E’ mai possibile pensare una cosa simile?" Piano. Da un esame approfondito risulta che il contegno di cui Trotzki è accusato non solo non è falso e inverosimile, ma è anche l'unico che corrisponde alla sua situazione interna. Ricordiamoci che questo Trotzki, condannato all'inattività, era costretto a stare a vedere oziosamente come il grandioso esperimento iniziato da lui e Lenin si trasformasse in una specie di gigantesco orticello piccolo-borghese.

Poiché a lui, che voleva compenetrare il mondo di socialismo, lo "Stato staliniano" parve, come disse e scrisse, una puerile caricacatura di quanto originariamente aveva ideato. Si aggiunga a questo la sua profonda e personale antipatia per Stalin, che gli aveva costantemente guastato tutto e finalmente lo aveva scacciato. Trotzki ha espresso innumerevoli volte il suo odio sconfinato ed il suo disprezzo per Stalin. Quello che fece con la parola e lo scritto non può anche averlo fatto con l'azione? È proprio tanto "impossibile", che egli, che si riteneva il solo uomo adatto quale capo della rivoluzione, non adoperasse qualsiasi mezzo per far precipitare dal trono usurpato il "falso Messia" con piccole menzogne? A me sembra possibilissimo.E mi sembra possibile che un uomo accecato dall'odio, che si rifiutò di riconoscere quello che tutti riconobbero, cioè la compiuta ricostruzione economica dell'Unione e la potenza del suo esercito, sia passato sopra all'inadeguatezza dei mezzi ed abbia scelto una via notoriamente falsa. Trotzki è coraggioso ed impulsivo, un grande giocatore, tutta la sua vita è una catena di avventure, di imprese pazzesche che spesso gli riuscirono a meraviglia. L'ottimista Trotzki credette sempre dì poter utilizzare la mala sorte per i suoi scopi e di poterla eliminare o rendere innocua. Se Alcibiade passò dalla parte dei Persiani, perché Trotzki non poteva passare da quella dei fascisti? Trotzki non è mai stato un patriota russo, lo "Stato staliniano" gli era odioso, egli si preoccupava della rivoluzione mondiale. Raccogliendo quanto l'esiliato Trotzki ha fatto contro Stalin ed il suo Stato, si ottiene un volume pieno di odio, rabbia, ironia e disprezzo. Se fece tutto questo durante gli anni d'esilio, quale deve essere ora lo scopo principale di Trotzki? Ritornare nel Paese ad ogni costo, per riavere il potere.

Il Coriolano di Shakespeare, quando si reca dai Volsci, nemici di Roma, parla dei falsi amici che lo hanno piantato in asso. "Essi tolleravano " egli dice ai nemici di Roma, "di vedermi fischiato fuori di Roma dagli schiavi. Questa scelleratezza mi conduce al vostro focolare. L'odio per i miei nemici mi conduce qui." In questo modo, Shakespeare giudica la possibilità che Trotzki abbia patteggiato con i fascisti. Ed Emil Ludwig riferisce una conversazione avuta con Trotzki nell'isola Prinkipo presso Costantinopoli, poco tempo dopo il suo esilio. Emil Ludwig ha pubblicato questa conversazione nel 1931 nel suo libro Doni dclla vita e ciò che fin da allora Trotzki ha detto, nel 1931, dovrebbe far meditare tutti coloro che trovarono sciocca ed assurda l'accusa contro di lui. " Trotzki dice" riferisce Ludwig e cito testualmente, " che il suo partito è disperso ovunque e la sua forza è quindi difficilmente calcolabile. " " E quando potrebbe unirsi?" "In seguito, ad esempio, ad una guerra o ad un nuovo intervento dell'Europa, che potrebbe prendere coraggio dalla debolezza del Governo." "Ma allora non converrebbe partire, anche se vi lasciassero rientrare in Russia "Pausa di disprezzo. " Oh, ma si troverebbero ben altre vie! "Ora anche la signora Trotzki sorride. Cosi giudica Trotzki sulla possibilità di aver patteggiato con i fascisti. Per quanto riguarda gli uomini implicati in questo secondo processo, e cioè Pjatakov, Sokolnikov e Radek, si giudica improbabile che uomini della loro posizione ed influenza abbiano potuto sabotare lo Stato, al quale dovevano le loro posizioni e la loro attività, od aderito ai piani posti a loro carico dall'accusa. A me sembra errato non veder altro in queste persone che uomini di posizione ed influenti. Pjatakov e Sokolnikov non erano soltanto alti funzionari e Radek non solo redattore capo delle Izvestia ed uno dei consiglieri intimi di Stalin. La maggior parte dègli accusati erano in primo luogo cospiratori e rivoluzionari; per tutta la vita erano stati sovversivi appassionati ed oppositori, erano nati per questo. Tutto quanto avevano ottenuto, era stato raggiunto contro le predizioni degli "intelligenti", con coraggio, amore per l'avventura ed ottimismo. In pari tempo credevano in Trotzki la cui forza suggestiva non può mai essere valutata abbastanza; insieme al loro maestro vedevano nello "Stato staliniano" una caricatura di quanto avevano voluto creare ed il loro scopo principale era quello di correggere questa caricatura nello Stato da loro desiderato.

Non si dimentichino nemmeno gl'interessi personali che gli accusati potevano avere in un rivolgimento. L'ambizione e la sete di potere di nessuno dì questi uomini era stata soddisfatta, avevano posizioni ed onori, ma nessuno di loro aveva uno di quei posti che essi credevano spettasse loro, nessuno aveva un posto nell' "Ufficio Politico".

Erano ritornati in grazia, ma erano pur sempre stati processati come trotzkisti, e non avevano più nessuna prospettiva di occupare i primi posti. In un certo senso erano tutti degradati e nessuno "è più pericoloso dell'ufficiale, al quale siano state strappate le spalline" dice Radek, e lo deve sapere.

Non meno violentemente dell'accusa viene attaccato lo svolgimento del processo. Se c'erano documenti e testimoni, chiedono dubbiosi, perché i documenti furono tenuti nel cassetto, i testimoni dietro le quinte e ci si accontentò di confessioni incredibili?

Giusto, rispondono i Sovietici, nel processo principale abbiamo mostrato in un certo senso soltanto il distillato, il risultato preparato dall'istruttoria. Il materiale dimostrativo è stato espletato prima e presentato agli accusati, nel processo principale ci siamo accontentati delle loro confessioni. Chi se ne scandalizza deve pensare che il processo venne celebrato davanti ad un tribunale militare, e che in primo luogo era un processo politico. Si trattava della purificazione dell'atmosfera politica interna. "A noi interessava che tutti, da Minsk a Vladivostok, capissero che cosa era accaduto. Perciò abbiamo reso tutto il più semplice e trasparente possibile. Indizi particolareggiati, documenti, testimoni possono interessare i giuristi, i criminalisti, gli storici; i nostri cittadini sovietici si sarebbero soltanto confusi.

Essi vengono meglio illuminati dalle chiare confessioni che non dagli indizi,,anche se messi insieme nel modo più ingegnoso. Abbiamo fatto questo processo non per i penalisti stranieri, ma per il nostro popolo." Siccome l'efficacia delle confessioni, la loro precisione e completezza non può essere negata, i dubbiosi adducono le ipotesi più assurde sui metodi con i quali le confessioni possono essere state estorte. La prima e più semplice supposizione è naturalmente quella che le confessioni siano state ottenute dagli accusati mediante torture e la minaccia di torture ancora più terribili. Ma questa accusa venne confutata dalla manifesta freschezza e vitalità degli accusati, dal loro aspetto fisico e morale. Gli scettici dovettero quindi cercare altre motivazioni per spiegare le confessioni "impossibili". Essi annunciarono che agli accusati erano stati somministrati veleni di ogni specie, che erano stati ipnotizzati e che ad essi erano state somministrate anche delle droghe. Ora nessuno è inora riuscito a produrre un veleno tanto efficace e quello scienziato che ci fosse riuscito non si sarebbe accontentato di essere la mano misteriosa degli organi di polizia, egli avrebbe applicato i suoi metodi probabilmente per aumentare il suo prestigio scientifico. Ma gli oppositori del procedimento si attenevano più volentieri alle ipotesi inverosimili piuttosto che arrendersi all'evidenza: cioè che gli accusati fossero convinti e che le loro confessioni si fondassero sulla verità.

Se si parla ai Sovietici di tali ipotesi, essi si stringono nelle spalle. Perché, dicono, se volessimo falsare la verità, dovremmo ricorrere a mezzi cosi difficili e pericolosi quali sono le confessioni falsificate?

Non sarebbe allora più semplice falsificare dei documenti? Non credete che potremmo, invece di lasciare fare da Trotzki discorsi di alto tradimento attraverso Pjatakov e Radek, produrre lettere di alto tradimento, documenti che provino molto più direttamente le sue relazioni col fascismo e Avete visto e sentito gli accusati: avete avuto l'impressione che le loro confessioni siano state estorte?

Non posso dire di aver ricevuto questa impressione. Gli uomini processati non erano affatto persone torturate e disperate davanti al loro boia. Non bisogna, naturalmente, pensare che questo processo abbia avuto qualche cosa di fittizio, di artificioso od anche soltanto di solenne o patetico. L'aula in cui ebbe luogo il processo non era molto vasta, poteva contenere circa trecentocinquanta persone. I giudici, l'avvocato dello Stato, gli accusati ed i difensori sedevano su una bassa tribuna con scale per salirvi, non vi erano barriere fra tribunale e pubblico. E nemmeno c'era qualche cosa che ricordasse il banco degli accusati; la barriera che separava gli accusati dal pubblico sembrava piuttosto il parapetto di un palco.

Gli accusati erano persone ben curate e ben vestite, dai gesti disinvolti e naturali, bevevano tè, avevano giornali in tasca e guardavano molto il pubblico. Tutto l'insieme non faceva l'impressione di un penosissimo processo, ma piuttosto di una discussione, condotta su un tono di conversazione, da uomini colti, che si occupavano di stabilire la verità e di giudicare quanto era successo.

Si aveva, anzi, l'impressione che accusati, pubblico ministero e giudici avessero lo stesso interesse, starei per dire, puramente sportivo di chiarire perfettamente gli avvenimenti. Se un regista avesse dovuto disporre queste scene del processo sarebbero occorse prove annose, per far si che gli accusati arrivassero a correggersi vicendevolmente in particolari e che la loro commozione si esprimesse in modo tanto perfetto. In breve, gli ipnotizzatori, i propinatorì di veleni ed i funzionari della giustizia, che prepararono gli accusati, astrazion fatta dalle loro stupefacenti capacità, avrebbero dovuto essere anche degli ottimi registi e psicologi.

L'obbiettività e la nudità con la quale questi uomini spiegavano ed esponevano le loro azioni, immediatamente prima di una morte quasi sicura, erano irreali e paurose. Peccato che le leggi dell'Unione Sovietica proibiscano di fare fotografie ed incidere dischi nelle sale dei tribunali. Se si fosse potuto presentare all'opinione pubblica mondiale non solo quello che hanno detto gli accusati, ma anche il modo con cui è stato detto, il tono di voce, i loro visi, credo che gli increduli sarebbero pochi.

Tutti confessarono, ma ognuno lo fece in modo diverso:

l'uno con tono di voce cinico, il secondo con onestà militare, il terzo con resistenza interna, torcendosi, il quarto come uno scolaro che si pente, il quinto con fare cattedratico.

Ognuno però col tono, l'espressione ed il gesto della verità. Non dimenticherò mai in che modo Giorgio Pjatakov stava davanti al microfono; era un signore di media altezza ed età, un pò calvo, con una barbetta a punta biondo rossiccia fuori moda. Tranquillo e diligente, egli spiegava come aveva fatto a sabotare le industrie da lui dipendenti. Esponendo ed indicando col dito, faceva l'impressione di un insegnante universtario, un professore di storia, che tiene una conferenza sulla vita e le gesta di un uomo morto da molto tempo, di nome Pjatakov, e che ha interesse a spiegare tutto fin nei minimi particolari, affinché i suoi ascoltatori e studenti capiscano bene.

Mi sarà difficile dimenticare anche lo scrittore Carlo Radek. Lo ricorderò per il modo come era seduto con la sua giacca marrone, il viso brutto e scarno inquadrato in una barba castana fuori moda, per il modo come guardava il pubblico, a lui noto in gran parte, o come guardava gli altri accusati, spesso con un sorriso pacato, spesso volutamente ironico, oppure per il modo con cui cingeva le spalle di altri accusati che entravano, con gesto leggero e affettuoso; parlando posava volentieri, prendeva un pò in giro gli altri accusati e metteva in evidenza la sua superiorkà artificiosa, era arrogante, scettico e letterario. Con un gesto brusco sospinse Pjatakov dal microfono per prendere il suo posto; batteva spesso con i giornali sulla balaustra, oppure, prendendo il suo bicchiere dì tè, vi gettava una fetta di limone, lo mescolava e, mentre diceva le cose più mostruose, beveva a piccoli sorsi. Ma non posava più quando fece la sua arringa finale nella quale disse la ragione per cui aveva confessato e questa confessione, per quanto fatta con disinvoltura e nonostante la sua forma perfetta, fece l'effetto della rivelazione di un uomo in pericolo, e fu commovente. Il gesto più spaventoso ed anche quello più difficilmente spiegabile di Radek fu quello con cui abbandonò la sala. Erano circa le quattro del mattino e tutti, giudici, accusati e pubblico, erano estenuati. Dei diciassette accusati, tredici, fra i quali anche intimi amici di Radek, erano stati condannati a morte, mentre egli ed altri tre erano stati condannati soltanto alla prigione. Il giudice aveva letto la sentenza, noi tutti l'avevamo ascoltata in piedi, accusati e pubblico, immobili, in profondo silenzio e, subito dopo la lettura, i giudici si erano ritirati. Vennero i soldati e si diressero prima ai quattro che non erano stati condannati a morte. Uno dei soldati pose la mano sulla spalla di Radek, ordinandogli evidentemente di seguirlo. E Radek lo seguì. Si voltò, alzò la mano per salutare, alzò impercettibilmente le spalle, ammiccò agli altri, ai condannati a morte, i suoi amici, e sorrise. Sì, sorrise.

Sarà anche difficile dimenticare la particolareggiata e faticosa esposizione dell'ingegnere Stroilov, nella quale spiegò come divenne membro dell'organizzazione trotzkista, come si agitò e cercò di uscirne; ma fu trattenuto per quello che aveva fatto un tempo e non riusci più a districarsi.

Indimenticabile, inoltre, quel calzolaio ebreo con la barba da rabbino, Drobnis, distintosi durante la guerra civile, il quale, dopo sei anni di prigionia zarista, fu condannato tre volte a morte dalle guardie bianche, sfuggì come per miracolo a tre fucilazioni ed ora annaspava davanti al tribunale e si torceva quando doveva confessare che mediante esplosioni dolose non aveva soltanto provocato scientemente danni materiali, ma anche la morte di operai. Terribile fu anche l'ingegnere Norkin, il quale con la sua " ultima parola" maledisse Trotzki, gli gridò il suo " disprezzo smisurato ed il suo odio"; era pallido di eccitazione e subito dopo dovette abbandonare la sala perché si era sentito male. Questa fu la prima ed ultima volta durante tutto il processo che si parlò ad alta voce; del resto, tutti: giudici, pubblico ministero ed accusati parlarono sempre tranquillamente, senza enfasi e mai nessuno alzò la voce.

Dato che gli scettici non si vogliono assolutamente adattare all'ipotesi che l'accusa possa fondarsi sulla verità, essi si basano, astrazion fatta dalle obbiezioni già citate, sul fatto che il comportamento degli accusati davanti ai giudici non può essere spiegato psicologicamente. Perché, si chiedono essi, gli accusati gareggiano in confessioni invece di contestare la loro colpa? E che specie di confessioni! Essi si dipingono come infami traditori. Perché, anche se sono trascinati, non tentano di addurre circostanze attenuanti, ma si caricano sempre più di colpe? Perché, dato che credono tuttora alle teorie di Troztki, non si confessano seguaci del loro capo e delle sue teorie? Perché ora non si vantano, dato che parlano per l'ultima volta alle masse, di queste loro azioni, che pur dovettero trovare degne di lode? Si può anche pensare che su diciassette persone una si umilii, o due od anche quattro. Ma tutti?

I Sovietici rispondono che la confessione è dovuta ad una ragione molto semplice. Perché durante l'istruttoria sono stati convinti con testimonianze e documenti che negare era inutile. Che tutti abbiano confessato si spiega col fatto che non tutti i trotzkisti implicati nel complotto erano stati arrestati, ma soltanto quelli che erano maggiormente convinti. Che le confessioni suonino patetiche è per lo più dovuto alla traduzione. L'accento russo è difficile da cogliere; il russo, tradotto, fa un'impressione superlativa, sentimentale e strana. (Questò è vero. Ho sentito un vigile dire al mio autista:

" Vogliate avere la compiacenza, compagno, di rispettare i regolamenti". Un simile modo di esprimersi è strano. E meno strano se si traduce il senso e non la lettera della frase:

" Stai attento ai regolamenti". Le traduzioni dei verbali del processo assomigliano però più al " rispettare i regolamenti "che allo " Stai attento ").

Devo confessare che, sebbene il processo mi avesse convinto della colpa degli accusati, il loro comportamento davanti al tribunale, nonostante gli argomenti dei Sovietici non mi era del tutto chiaro. Subito dopo il processo esposi, in una dichiarazione per la stampa sovietica, la mia impressione: " Le cause ultime di ciò che hanno fatto gli accusati, specialmente il loro comportamento davanti al tribunale, non sono del tutto chiari per gli occidentali. Le azioni della maggior parte di costoro possono aver meritato la morte: ma con invettive e ribellioni, per quanto comprensibili, non si spiega il carattere di questi uomini. Spiegare la loro colpa ed espiazione a degli occidentali, sarebbe compito di un grande poeta sovietico". Ciò non vuol naturalmente dire che possa dubitare del processo e dei suoi risultati. Quando mi si chiede la mia opinione, posso, sull'esempio dello scrittore Ernst Bloch, citare Socrate, il quale, interrogato su alcune oscurità di Eraclito, rispose: " Quello che ho capito è eccellente. Da ciò deduco che anche quello che non ho capito, sia pure eccellente ".

I Sovietici non concepiscono una simile incomprensione. Dopo la fine del processo, riferendosi alla mia dichiarazione sopra citata, uno scrittore moscovita disse dutante una riunione: "Feuchtwanger non capisce le ragioni per cui gli accusati hanno confessato. I 250.000 operai che fanno una dimostrazione sulla Piazza Rossa le capiscono". A me sembra, tuttavia, di essermi occupato ad ottenere maggior comprensione per il processo della maggior parte dei critici occidentali e siccome il poeta sovietico che potrebbe chiarire le cause delle confessioni ancora non esiste, voglio tentare di descrivere come mi immagino il processo psicologico della confessioni.



Il tribunale davanti al quale ebbe luogo il processo può essere considerato opportunamente una specie di tribunale del partito. Gli accusati erano fin dalla giovinezza iscritti al partito. Parecchi fra di loro appartenevano ai dirigenti di esso. E quindi un errore poter pensare che un uomo citato davanti ad un tribunale di partito possa comportarsi come un uomo davanti ad un comune tribunale occidentale. Era più di un semplice lapsus quando Radek si rivolse ai giudici con le parole: " Compagni giudici" sicché il presidente dovette invitarlo a dire: " Cittadini giudici". Anche l'accusato si sente ancora legato al partito e non è quindi un caso che il processo sin dall'inizio avesse carattere di discussione, cosa strana per gli occidentali. Giudici, pubblico ministero ed accusati non sembravano soltanto, ma erano effettivamente legati da uno scopo comune. Erano come ingegneri intenti a provare una nuova macchina complicata. Alcuni hanno rovinato un pezzo della macchina, non per malvagità, ma perché volevano ostinatamente provare le proprie teorie sul suo miglioramento. I loro metodi si sono dimostrati falsi, ma la macchina non sta loro meno a cuore degli altri e per questa ragione discutono di comune accordo i loro errori. Ciò che lega è l'interesse per la macchina, l'amore per essa. È questo sentimento fondamentale che permette a giudice ed accusato di collaborare così concordemente, qualcosa di analogo a quanto esiste in Inghilterra fra Governo ed opposizione, per cui il capo dell'opposizione riceve dallo Stato uno stipendio di duemila sterline.

Gli accusati erano seguaci di Trotzki; anche dopo la sua caduta credevano ancora in lui Ma essi vivevano nell'Unione Sovietica e quello che per l'esiliato Trotzki erano cifre lontane e statistiche, per loro era una cosa viva. Di fronte a questa viva contemplazione, il principio di Ttotzki che l'istituzione dell'economia socialista in un solo Paese era impossibile, non poteva reggere a lungo andare. Durante il 1935, in base alla crescente prosperità dell'Unione Sovietica, gli accusati dovettero riconoscere che il trotzkismo aveva fatto bancarotta: " Essi perdettero " dichiarò Radek, " la fede nella concezione di Trotzki". In queste circostanze è logico che le confessioni suonino come un inno forzato al regime staliniano. Gli accusati assomigliano in questo caso al profeta pagano Balaam della Bibbia che se ne va per maledire, ma che, contro la sua volontà, deve benedire.

L'accusato Muralov negò per ben otto mesi prima di risolversi a confessare, il 5 dicembre. " Sebbene " disse al processo, " non ritenessi giuste le direttive di Trotzki riguardo al terrorismo ed al sabotaggio, mi sembrava moralmente inammissibile tradire Trotzki. Ma quando infine gli altri gli voltarono le spalle, chi onestamente e chi falsamente, mi dissi:

mi sono battuto attivamente in tre rivoluzioni per l'Unione Sovietica e dozzine di volte la mia vita è stata in pericolo. Non devo ora subordinarmi ai suoi interessi? Oppure devo rimanere con Trotzki e battermi ulteriormente per la sua causa perduta? Allora il mio nome diventerà una bandiera per coloro che ancora militano nelle file della controrivoluzione. Gli altri, che abbandonino onestamente o meno Trotzki, non apparterranno mai agli araldi della controrivoluzione. Solo io devo rimanere un santo? Ciò fu decisivo per me e mi dissi: benissimo, ora me ne vado e proclamo tutta la verità." La deposizione di Radek su questo punto, in forma molto più attenuata, dice in sostanza la stessa cosa. Le dichiarazioni dei due uomini mi sembrano psicologicamente interessanti, astraendo dal processo. Esse dimostrano, ad esempio, fino a che punto gli uomini possono seguire un altro uomo nella cui superiore intelligenza di capo e nella cui geniale concezione credono e dove è il punto in cui lo abbandonano. I mezzi da avventuriero e da disperato in cui un Trotzki fu costretto a servirsi, dopo che la sua concezione fondamentale si era dirnostrata errata, dovettero spaventare i suoi partigiani. Essi cominciarono a considerare pazzeschi i suoi metodi. Non disertarono prima perché non sapevano come farlo tecnicamente. " Ci saremmo recati dalla polizia" dichiarò Radek, "se questa non fosse venuta prima da noi ", e ciò è probabile. Alcuni amici degli accusati si erano realmente recati dalla polizia e per questa ragione il complotto venne scoperto.



Le obbiezioni degli scettici sono di per sé giuste. Gente che ha fede nella propria causa, anche se questa è quasi perduta, non tradisce all'ultima ora. Coglie invece l'ultima grande possibilità di parlare in pubblico e l'utilizza per far propaganda per la propria causa. Davanti ai tribunali hitleriani i rivoluzionari dichiarano a centinaia: "Si, ho fatto quello per cui vengo accusato. Mi potete uccidere, ma sono orgoglioso di quanto ho fatto". Gli scettici hanno quindi il diritto di chiedere: perché nessuno dei troztkisti ha parlato in questo modo e perché nessuno dei trotzkisti ha detto: " Si, il vostro Stato staliniano è errato. Trotzki ha ragione. Quello che ho fatto è stato bene. Uccidetemi, ma mi assumo la responsabilità di ciò che ho fatto "?

A questa obiezione è però possibile dare una risposta decisiva. Questi trotzkisti non hanno parlato in questo modo, per il semplice fatto che non credono più in Trotzki, perché intimamente non potevano più rispondere di quanto avevano fatto, perché la loro convinzione trotzkista era stata confutata dai fatti, di modo che uomini con gli occhi aperti non potevano più credere ad essi. Che cosa rimaneva loro quindi da fare dopo essersi posti dalla parte sbagliata? Proprio perché erano socialisti convinti, prima della morte non rimaneva loro altro che confessare: il socialismo non può essere realizzato in base alle teorie di Trotzki, ma soltanto seguendo quelle di Stalin.

Ma, anche astraendo dai motivi ideologici e prendendo in considerazione soltanto le circostanze esteriori, gli accusati erano quasi obbligati a confessare. Che cosa avrebbero dovuto fare, dopo essere stati convinti da una schiacciante quantità di prove? Erano perduti, con o senza confessione. Confessando, potevano avere un barlume di speranza nella clemenza. In parole povere: non confessando erano perduti al cento per cento e, confessando, al novantanove per cento. Siccome non vi erano ragioni intime che si opponevano alla confessione, perché non farla? Dalle loro parole risulta che questo fatto ebbe un certo peso. Dei diciassette accusati, dodici pregarono i giudici di considerare la loro confessione una circostanza attenuante al momento di pronunciare la sentenza.

Questa richiesta fu formulata da tutti nella stessa forma e questo fatto faceva in ultimo un effetto terribile e tragicomico. Alla fine, cioè quando parlarono gli ultimi accusati, si aspettava nervosamente questa domanda e quando veniva effettivamente fatta e necessariamente nella stessa forma monotona, gli ascoltatori potevano a mala pena soffocare il riso.

Forse ancora più difficile che rispondere alla domanda:

"Quali furono i moventi degli accusati?" è rispondere a quest 'altra: quali ragioni spinsero il Governo a dare tanta pubblicità a questo processo e ad invitarvi la stampa e l'opinione pubblica mondiale? Che cosa se ne riprometteva? Non doveva la manifestazione avere conseguenze penose piuttosto che favorevoli? Il processo Zinoviev aveva fatto una cattivissima impressione all'estero; esso aveva fornito ai nemici un gradito materiale propagandistico e fatto tentennare molti amici. Aveva suscitato dubbi sulla stabilità del regime alla quale prima avevano creduto persino i nemici. Perché danneggiare, con un secondo processo analogo, cosi sventatamente il proprio prestigio?

La ragione, affermano i nemici, consiste nel selvaggio dispostismo di Stalin e nella sua gioia di spargere il terrore. È chiaro: questo Stalin, conscio della sua inferiorità, della sua sete di potere e smisurata sete di vendetta, vuole vendicarsi di tutti coloro che in qualche modo lo offesero ed inoltre di tutti coloro che in un qualche modo possono diventare pericolosi. Simili chiacchiere dimostrano ignoranza dell'anima umana e mancanza di senso critico. Si legga un libro, un discorso di Stalin e si guardi una sua fotografia o si ricordi una disposizione qualsiasi che egli abbia presa per la ricostruzione. Subito risulta chiaramente che questo uomo superiore non può assolutamente aver commesso l'errore di rappresentare una simile commedia con l'aiuto di innumerevoli collaboratori unicamente allo scopo di celebrare una vendetta, la sconfitta dei nemici, con illuminazione di bengala.

Io credo che la soluzione del problema sia più semplice ed in pari tempo più complicata. Si pensi alla risolutezza dell'Unione Sovietica, di proseguire sulla via della democrazia e si pensi, soprattutto, a quella mentalità militare che ho già messo in evidenza parecchie volte.

La crescente democratizzazione, specialmente il progetto della nuova Costituzione, dovette dare ai trotzkisti nuovo vigore, dovette dare loro delle speranze di poter agire più liberamente e di poter condurre la loro agitazione più efficacemente. Il Governo era ben deciso a reprimere sul nascere ogni attività trotzkista. In primo luogo fu l'incombente minaccia di guerra a decidere i dirigenti dell'Unione Sovietica a dare tanta pubblicità a questo processo Prima i trotzkisti erano meno pericolosi, si poteva graziarli e nel peggiore dei casi esiliarli. L'esilio non è però una misura molto efficace; Stalin stesso, esiliato per sei volte e sei volte rttornato, lo sà benissimo. Ora, appena prima della guerra, non era più possibile usare tanta clemenza. Una scissione, una presa di posizione, senza importanza in tcmpo di pace, può diventare un pericolo incommensurabile in guerra. Dopo l'assassinio di Kirov, nell'Unione Sovietica i trotzkisti vengono giudicati dai tribunali militari. Era un tribunale militare davanti al quale questi uomini comparvero ed era un tribunale militare che li giudicò.

L'Unione Sovietica ha due aspetti. L'aspetto dell'Unione combattente si manifesta con la rigida severità con la quale reprime ogni opposizione. L'aspetto dell'Unione ricostruttrice si manifesta nella democrazia contenuta nella nuova Costituzione. Il fatto che il Congresso in sessione straordinaria abbia votato la nuova Costituzione fra i due processi trotzkisti quello di Zinoviev e quello di Radek, agisce come un simbolo.

LA violenza con la quale all'estero persino dei simpatizzanti reagirono ai processi contro i trotzkisti, riuscì del tutto incomprensibile ai cittadini sovietici. Ho già parlato della profonda delusione e disperazione di molti che nell'Unione Sovietica avevano visto il compimento del loro sogno democratico, l'ultima salvezza della civiltà prima della rovina e che ora, non potendosi separare dalle loro immaginazioni democratiche, caddero dal settimo cielo in seguito a questi processi " arbitrari e violenti ".

Per molti questa delusione fu certamente un sincero dolore. Ci sono però anche intellettuali ai quali fu gradita. La violenza con la quale questi intellettuali reagirono ai processi proviene certamente dal fondo dell'anima. Essa deriva dal disagio che provoca in loro la semplice esistenza dell'Unione Sovietica, dal disagio per i problemi davanti ai quali vengono posti da questo nuovo Stato socialista.

Molti intellettuali, persino quelli che ritengono una necessità storica sostituire il sistema capitalista con quello socialista, hanno paura della confusione del periodo di transizione. Essi desiderano sinceramente la vittoria mondiale del socialismo, ma si preoccupano del loro avvenire durante il tempo in cui la grande trasformazione socialista sì compirà.

Dicono di si col cervello, di no col cuore. Teoricamente sono socialisti, ma praticamente il loro comportamento sostiene l'ordinamento capitalista. La sola esistenza dell'Unione Sovietica è quindi una perenne ammonizione alla fragilità della loro esistenza, un continuo rimprovero alla duplicità del loro comportamento. Che l'Unione Sovietica esista è per loro una benvenuta conferma del fatto che nel mondo esiste ancora del raziocinio, per il resto non amano l'Unione, ma piuttosto la odiano.

Per queste ragioni salutano ogni occasione, anche se non lo confessano a se stessi, di poter danneggiare l'Unione Sovietica. Il "mistero" dei processi trotzkisti porse loro la gradita occasione di segnalare ed ironizzare in brillanti articoli l'apparente arbitrio del procedimento. Il "terrore" esistente nell'Unione Sovietica dimostrò, con loro piena soddisfazione, che in fondo l'Unione non si distingue dagli Stati fascisti e che avevano quindi fatto bene a non aderire ad essa. Questo "terrore" giustificava davanti alla propria coscienza la loro indecisione e la loro inerzia. Il "dispotismo" dell'Unione Sovietica era per loro un gradito abito per coprire la propria nudità.

Nell'Unione Sovietica non ci si meravigliò di questo. L'effetto del processo Zinoviev non fece desistere la giustizia sovietica dall'istruire un secondo processo trotzkista. Il vantaggio della politica interna, la pulizia pubblica della propria casa immediatamente prima della guerra, compensò largamente quanto si poteva perdere in prestigio agli occhi di incompetenti critici stranieri. Nell'Unione Sovietica non ci si fanno illusioni sulla mentalità straniera. I Sovietici si vantano che soltanto il loro Esercito Rosso ha protetto il mondo prima dello scoppio della grande guerra fascista e salvato la civiltà dall'invasione dei barbari. I Sovietici sono convinti che soltanto per le loro armi, per la paura dell'Armata Rossa e per la propria debolezza, le cosiddette democrazie hanno concluso delle alleanze con loro, e perciò essi non le hanno concluse volentieri. Ora che i dirigenti delle democrazie sono finalmente riusciti ad ottenere dai loro Parlamenti e dalla loro opinione pubblica la concessione di armamenti, sì preoccupano ancora meno di prima di celare la loro antipatia per l'Unione Sovietica. I Sovietici sono dei politici realisti, l'effetto del processo non li ha sorpresi.

Radek nella sua difesa dichiarò che per due mesi e mezzo si era fatto spremere ogni parola della sua confessione, e che aveva reso assai difficile il lavoro al giudice istruttore. " Non è stato il giudice istruttore a torturare me " egli ha detto, " ma io a torturare lui ". Parecchi giornali inglesi pubblicarono in merito a questa dichiarazione di Radek, a titoli cubitali: "Radek torturato".

Credo di essere stato l'unico a Mosca che si sia meravigliato per questo modo di fare una relazione alla stampa.

Tutto considerato, trovo il contegno assunto da molti occidentali rispetto all'Unione Sovietica poco intelligente e poco dignitoso. Essi restano ciechi sull'opera storica compiuta; non vogliono capire che la Storia non si fa coi guanti. Enunciano i loro dogmi assoluti e vogliono misurare al millimetro fino a che punto giungono libertà e democrazia. Per quanto intelligenti ed umani siano gli scopi dell'Unione Sovietica, questi intellettuali occidentali sono tremendamente puritani nella critica dei mezzi. Per loro in questo caso il fine non giustifica i mezzi, ma i mezzi profanano il fine.

Lo capisco. Io stesso appartenni in gioventù a questi intellettuali, che esposero il principio del pacifismo assoluto e della non violenza integrale. Durante la guerra ho imparato. Già durante la guerra ho scritto un dramma, Warren Hastings in cui viene rappresentato un processo, che a suo tempo aveva pure commosso il mondo come ora i processi trotzkisti. Questo processo era però presieduto dal governatore generale ingieseWarren Hastings, uno degli uomini che fondarono la potenza dell'Inghilterra e introdussero la civiltà occidentale in India. Egli considerava la sua un'azione di progresso e noi, se pensiamo storicamente, gli daremo ragione. Questo mio Warren Hastings si era convinto che: "il sentimento dell'umanità può essere instillato negli uomini soltanto con i cannoni ", ed alla gente che coi loro principi umani lo costringono ad agire meno umanamente di quanto vorrebbe, dice: " Per ventidue anni, quando il fiume Gange ogni tanto straripava, ho sperimentato che un lieve tremito della mano, provocato da umanità, ha devastato intere regioni. Voi, signori umani, non lo sapete: ma siete voi che mi costringete all'inumanità ".

Credo che tutti quanti, durante e dopo la guerra, abbiano avuto molteplici occasioni per rivedere i concetti sulla Gewaltlostgkeit e di compiere serie riflessioni sulla violenza. Che simili rèflexions sur la violence", destinate a giustificare Lenin vengano addotte anche da Mussolini a sua giustificazione

Hitler non ha certamente mai sentito il nome di Georges Sorel non per questo esse perdono in esattezza. Esiste una differenza fra l'assassino che spara su un passante e un poliziotto che spara sull'assassino.

Con parole semplici, voglio dire che ogni scrittore avente qualche responsabilità si pone oggi il problema in questi termini. Se quanto viene oggi chiamato democrazia non permette il diffondersi dell'economia socialista con modifiche transitorie, che cosa preferisci: che la massa abbia meno carne, pane e burro e tu una maggior libertà nello scrivere, oppure viceversa?

Per uno scrittore conscio della propria responsabilità questo non è un problema facile.

Non è difficile criticare l'Unione Sovietica e la critica procura molta riconoscenza ai critici. Vi sono deficienze interne ed esterne che non vengono nascoste ed è vero che per un occidentale non è ancora comodo vivere a Mosca. Ma chi mette in evidenza le deficienze dell'Unione e passa in seconda linea quanto di grande vi si può vedere, danneggia più se stesso che l'Unione Sovietica. Egli assomiglia ad un critico che in un poema geniale osservi in primo luogo l'inesattezza della punteggiatura. Nel primo libro tedesco su Shakespeare si legge: " Conosceva poco il latino e niente affatto il greco".

In fondo, tutte le obbiezioni degli intellettuali occidentali contro l'Unione Sovietica si possono ricondurre a due fondamentali, una morale ed una estetica. Quella morale osserva che in seguito alle differenze nei redditi si formano necessariamente nuove classi. Quella estetica richiama l'attenzione sul fatto che i dirigenti sovietici perseguono la spersonalizzazione degli individui e contemporaneamente creano uno sterile livellamento. L'ultima parte dell'obbiezione estetica biasima quindi esattamente il contrario di quella morale.

Tuttavia, un pò di verità c’è in entrambe le obbiezioni. Quando cioè gli apostoli dell'eguaglianza affermano che negli operai, contadini ed impiegati meglio pagati si sviluppa una certa mentalità piccolo borghese molto diversa da quell'eroismo proletario, al quale questi nostri moralisti sembrano aver diritto viaggiando nell'Unione Sovietica, non hanno completamente torto. Gli apostoli dell'ineguaglianza temono, d'altra parte, che l'uniformità delle opinioni faccia maturare un certo livellamento, di modo che quando si sarà raggiunta la socializzazione dell'Unione non si avrà altro risultato che uno Stato gigantesco composto soltanto da media e piccola borghesia, ed anche questo timore non è del tutto privo di fondamento. Quando, ad esempio, una società ha raggiunto una determinata fase di transizione e precisamente quando mediante estreme economie è salita all'inizio del benessere, si sviluppano caratteristiche piccolo-borghesi. Ed analogamente all'effetto del benessere materiale, anche l'elevazione del livello spirituale nelle sue prime fasi provoca pure una certa volgarità nel giudizio e nel gusto. Ho già ricordato che gli elementi di tutte le scienze non possono che essere espressi nelle stesse formule e forme, di modo che all'inizio dell'istruzione non è possibile evitare il "collettivismo". È però certo che la mentalità piccolo-borghese con l'aumentare del benessere scomparirà altrettanto presto, come con la diffusione dell'istruzione il famigerato collettivismo.

Tirando le somme, si vedrà che esistono ancora molti problemi entro i confini dell'Unione Sovietica. Ma anche per lo Stato vale quanto Goethe ha detto dell'individuo:

"Una cosa importante sa sempre conquistarci e quando riconosciamo i suoi pregi, lasciamo da parte quanto in essa c'è di problematico".

L'aria che si respira in Occidente è cattiva, viziata. Nella civiltà occidentale non esiste più alcuna chiarezza ed energia. Non si osa stendere il pugno contro l'incombente barbarie od anche soltanto alzare la voce contro di essa, lo si fa a mezza bocca, con gesti vaghi e le dichiarazioni dei responsabili contro il fascismo sono inzuccherate e confuse. A chi non ripugna la leggerezza e l'ipocrisia con la quale questi responsabili reagirono all'aggressione della Repubblica spagnola da parte dei fascisti?

Si respira quando, da questa opprimente atmosfera di democrazia falsata d'umanità ipocrita, si arriva nell'aria severa dell'Unione Sovietica. Qui non ci si nasconde dietro a frasi mistiche, domina piuttosto un'etica sobria, veramente more. geometrico constructa, e solo questo raziocinio etico determina il piano in base al quale l'Unione ricostruisce. È quindi un metodo nuovo quello con cui costruiscono, ed è materiale completamente nuovo quello che viene impiegato. Ma il tempo degli esperimenti è già passato. Si vedono ancora ovunque rottami e le impalcature sporche, ma già si alzano chiari e puliti i lineamenti della gigantesca costruzione. È una vera torre di Babele, ma non una che vuole avvicinare gli uomini al cielo, bensi questo a quelli.

E l'opera è riuscita, non hanno permesso che venissero confùse le lingue, essi si capiscono.

Fa bene, dopo tutta l'ipocrisia dell'Occidente, vedere una opera simile, alla quale si possa aderire con entusiasmo. E dato che non mi parve conveniente tenermi questo entusiasmo nel cuore, scrissi questo libro.



Nato a Monaco di Baviera nel 1881, Lion Feuchtwanger resse dal 1905 al 1910 una società letteraria sostenitrice della nuova letteratura: di quegli anni furono le sue prime opere (un romanzo e una commedia), non però molto diffuse. La fama di lui nacque e si impose nel 1926 con la pubblicazione sotto altro titolo di Suss l'Ebreo, iniziato dieci anni prima Seguono altri romanzi e alcune commedie di alterna fortuna, sino al primo volume della " Trilogia di Giuseppe Flavio ". Storia, romanzo, biografia, invenzione si uniscono in una specie di moderna epopea: sullo sfondo della lotta fra il paganesimo del colosso romano e il monoteismo eroico della piccola Palestina, si erge la figura ambigua, ma sofferta, di Giuseppe Flavio, il suo dualismo ebraico-cristiano. Accanto ai romanzi storici, il romanzo sociale (Successo) e i romanzi delle tragedie moderne: I fratelli Oppenheim, gli Ebrei martoriati dai nazisti; Simonetta, la Francia invasa dai Tedeschi. Nel campo delle memorie si allinea questa Mosca 1937 scritta in polemica con un famoso libello di André Gide; alla quale seguirà, sempre per i tipi di Mondadori (editore di gran parte dell'opera di Feuchtwanger) il diario dell'internamento, Francia amara. Infatti Feuchtwanger, profugo dalla Germania, accolto trionfalmente a Parigi nel 1933, fu internato nel '40 per la sua origine tedesca; sfuggito miracolosamente ai nazisti, sì rifugiò negli Stati Uniti d'America, dove vive tuttora.


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mwm5

 
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