Grazie, Padre!<

« Older   Newer »
  Share  
diavoletto nero
CAT_IMG Posted on 14/6/2013, 16:17




Grazie, Padre!


Marzo del 1956, per le strade di Tbilisi.

Anche se i miei genitori erano russi, sono nato a Tbilisi. A Tbilisi ho trascorso la mia infanzia e l’adolescenza. Uno dei ricordi di quel periodo che mi impressionarono maggiormente fu la tragedia che accadde nel marzo del 1956.I brutali attacchi a Josif Vissarionovič Stalin da Krusciov al XX° congresso del PCUS furono per noi come un fulmine a ciel sereno. L’intera popolazione rimase in uno stato di shock.

La vicenda :

Il 5 marzo 1956, l’anniversario della morte di Stalin (a meno di un mese dopo il XX° Congresso), la gente uscì per le strade di Tbilisi. Ricordo bene come una colonna di studenti sotto le Bandiere Rosse coi ritratti di Lenin e di Stalin. Si muoveva lentamente lungo la strada “Chelyuskintsev”. Tutto il traffico automobilistico proveniente frontalmente alla colonna si era fermato, allora gli studenti chiesero a tutti gli automobilisti di azionare i clacson dei loro automezzi, in segno di lutto e apprezzamento! Mio padre uscì fuori dalla sua “Opel” che teneva come trofeo, si tolse il colbacco (anche se cadeva copiosamente la neve ed era bagnato) e si inchinò al ritratto di Stalin. “Grazie, Padre!” – disse uno dei giovani della colonna.

Per due giorni consecutivi enormi folle di cittadini arrivavano agli edifici del Comitato Centrale del Partito Comunista della Repubblica Socialista Sovietica della Georgia e il Consiglio dei Ministri, reclamando l’uscita dei leader della Repubblica affinché dessero le loro risposte al popolo. Il terzo giorno venne fuori il primo segretario del Comitato Centrale del partito, V.P. Mzhavanadze, che aveva concluso la guerra con il grado di tenente generale. Dalla folla si avanzarono tre uomini con le stelle d’oro di Eroe dell’Unione Sovietica: il comandante della gloriosa l’unità partigiana di Kovpak, David Iljič Bakradze; un carrista russo col viso tutto sfigurato dalle bruciature e l’orgoglio di tutti i curdi di Tbilisi, lo sceicco-cecchino.David Iljič Bakradze si tolse il cappellino di feltro, e disse: “Siamo arrivati da te, stimato Vasilij, per parlare non solo come alla guida politica della nostra repubblica, ma anche come dei combattenti di prima linea sul fronte che incontrano un altro combattente di guerra.” “La saggezza popolare recita: sui defunti si parla bene o niente,” – aggiunse lo sceicco. “La gente vuole sapere perché lo spregevole Nikita ha infangato il caro ricordo del nostro padre, nel cui nome andavamo alla morte per difendere la Patria. “Zitti, zitti!” – agitò un braccio Vasilij Pavlovič. “Non ci minacci, non ci farà paura, – disse il carrista -: cinque volte sono stato dentro un carro armato incendiato, è assai difficile spaventarmi. Ci spiega meglio perché ora i nostri nemici gioiscono?”. Il compagno Mzhavanadze a questo punto chiese a tutti di star calmi e di andar via, promettendo che avrebbe cercato di risolvere la situazione. Ma la gente non si mosse e continuò ad agitarsi e a protestare.

Io andavo insieme ai miei compagni di classe ogni giorno al monumento di J.V. Stalin sito sul lungofiume Kurà, dove notte e giorno ribollivano i comizi. Tutto l’alto piedistallo del monumento era ricoperto dalle corone di fiori e dai mazzi di fiori freschi, ma la gente continuava a portarli ancora e ancora e ancora. Da un camion scoperto (podio improvvisato), la gente parlava e gridava il proprio risentimento per l’offesa atroce recata al loro Padre-Stalin. I narratori popolari e cantautori georgiani, armeni, curdi, azeri glorificavano nei loro canti e poesie il Padre di tutti i nostri popoli. I combattenti-veterani della Seconda Guerra Patriottica condividevano i loro ricordi di dove e quando videro Stalin al fronte. Mi rimase impresso nella memoria un combattente azero che giurava su Allah che nel dicembre 1941, nei pressi di Mosca, Stalin camminava nelle trincee di prima linea del fronte e gli strinse personalmente la mano. Adesso i “democratici” sostengono che Stalin durante la Seconda Guerra Patriottica non fu mai al fronte, però anche due della mia famiglia lo videro al fronte: un mio zio, il colonnello-carrista L.P. Ivanov, e il mio suocero P.T. Vysotskij che fece la guerra nella 9-na Divisione dei cosacchi di Kuban’).

La sera del 9 marzo la gente seppe che a Tbilisi soggiornava il famoso comandante dell’esercito di liberazione popolare cinese, Maresciallo Zhu The. Per invitarlo all’incontro furono mandati gli anziani eletti dal popolo. Presto arrivò una automobile ZIS-110, da cui uscì un ufficiale cinese che parlava bene in russo. Si presentò come il delegato del maresciallo scusandosi che il maresciallo non era potuto venire a causa di problemi di salute. Alla domanda su come il compagno Mao Zedong si rapportasse a Stalin, egli rispose che il Capo del popolo cinese si considerava un leale e fedele allievo del grande Stalin. Poi ha cercato di convincere la gente a separarsi e andarsene, assicurando loro che tutto si sarebbe chiarito e le calunnie contro Stalin sarebbero state rimosse. Tuttavia la gente rimase irremovibile…

Dopo qualche tempo, sul lungomare arrivarono mezzi corazzati da trasporto truppa, pieni di soldati. Allora la gente cominciò a mandare frettolosamente i bambini a casa, lontano dalla folla. Io ed un mio amico fummo trascinati per la collottola da un pilota militare, che ci ordinò di correre subito a casa. Di notte, iniziò la sparatoria. Si diceva che molte persone erano ferite e che c’erano tante vittime.

Al secondo giorno uscii da casa per andare a comprare il pane. La strada era piena di militari e di polizia. La gente era confusa e depressa. I soldati seduti sui blindati abbassavano gli sguardi, cercando di non guardare negli occhi delle persone. Ai corazzati da trasporto truppa si avvicinavano gli ex combattenti, per esprimere indignazione e sdegno: “Per quale motivo il popolo è stato offeso?”, “Nel nome del compagno Stalin i combattenti si gettavano sotto i carri armati!”, “Ci fidiamo e crediamo in lui come ad un padre di sangue”, “E’ stato lui a guidarci e a portarci alla Vittoria!”. A questo punto arrivò un curdo di nome Ozò, che aveva perduto una gamba nella battaglia di Prokhorovka. Trascinandosi, appoggiato su una stampella, andò dritto verso i militari. Accanto a lui uno dei suoi figli col ritratto di Stalin, decorato con quei coloratissimi fili di lana intrecciati con cui le donne curde decorano i ritratti dei defunti più cari.Mentre Ozò rimproverava i soldati e gli ufficiali, questi tacevano cupamente. Sul marciapiede stavano alcuni dirigenti del comitato del partito della regione. Uno di questi fece segno ad un giovane agente di polizia georgiano, indicandogli con la testa Ozò. Il poliziotto gli si avvicinò malvolentieri e protese la mano al ritratto di Stalin. Tutta la gente attorno si mise ad urlare e anche i soldati cominciarono a fischiare. Il poliziotto si tolse il suo berretto a visiera, lo gettò per terra e si mise a calpestarlo, urlando istericamente: “Lasciate quel mutilato in pace! Mio padre diede la vita per la Patria, per Stalin! Che Nikita soffochi col primo latte di una madre! (Questa è una terribile maledizione nel Caucaso -. A. Y) “. Mentre Ozò, operando con la sua stampella, mise in fuga i “compagni dirigenti”.

L’unità dei popoli sovietici e l’unità del partito con l’intera popolazione erano la forza che rese la nostra Patria indistruttibile. E smettano i “democratici” di oggi di insistere per convincerci che la fratellanza tra i popoli fosse un “mito stalinista”. Io conosco la verità non dagli articoli dei giornali, ma dalla vita vera, vissuta. La nostra gente accoglieva i bambini evacuati da Leningrado assediata – nel nostro edificio ne erano ospitati parecchi – e noi condividevamo con loro i nostri pasti magri, trattandoli in modo fraterno. Quasi tutti gli uomini del nostro grande cortile multinazionale erano al fronte… A capo delle donne del nostro cortile stava la ex duchessa Anna Ivanovna, il cui il figlio maggiore fu ucciso nel pressi di Stalingrado. Lei incoraggiava i deboli, si occupava dei bambini quando le loro madri erano al lavoro, sotto la sua guida le donne cucivano uniformi per i soldati al fronte, e sempre lei aveva organizzato la raccolta di vestiti caldi per l’Armata Rossa, quando questa richiesta fu rivolta alla popolazione dai rappresentanti del comitato esecutivo del distretto rionale intitolato a Stalin.

Dalla piccola Georgia sui fronti della seconda guerra patriottica combatterono più di 700.000 persone, di cui più della metà non fece ritorno a casa. Tutte le donne indossavano abiti neri, quasi in ogni casa sulle pareti erano appese le strisce di stoffa nera sulle quale in georgiano e in russo erano scritti i nomi dei periti in guerra.

In questa unità dei popoli la denigrazione contro il compagno Stalin da parte di Khruscev conficcò il primo cuneo. Il popolo georgiano lo prese come un insulto, come una offesa personale di cui approfittarono i nostri nemici per iniziare ad approfondire la spaccatura, riversando questa offesa su tutti i russi in genere.

E il fatto stesso che questa campagna anti-stalinista fosse organizzata dal primo segretario del PCUS, e che gli altri leader del partito (con poche eccezioni), sia pure a malincuore, la sostenessero, divenne il primo passo incisivo dell’estraniazione e dell’allontanamento del popolo dal partito.

Traduzione di Tatiana Bogdanova
http://drapporosso.wordpress.com/2013/06/1...ade-di-tbilisi/
 
Top
0 replies since 14/6/2013, 16:17   125 views
  Share